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Intervista a Elena, educatrice professionale

Avete mai sentito parlare della figura professionale dell’educatore? Sapevate che il suo intervento è fondamentale per promuovere l’autonomia del bambino e per porre rimedio ad alcuni disagi più o meno gravi? Scopriamo insieme a Elena, educatrice professionale, in cosa consiste il suo lavoro.

Ciao Elena, presentati e spiegaci cosa fai!

Mi chiamo Elena Salvaneschi, ho 29 anni e dal 2012 lavoro come educatrice professionale socio pedagogica.

Mi occupo pertanto di bambini, adolescenti, disabili e famiglie. Nel 2015 ho aperto a Torino uno studio multidisciplinare nel quale lavoro in équipe con un neuropsichiatra, psicoterapeuti, TNPEE e logopedisti.

Cosa fa esattamente un’educatrice professionale?

Non è semplice rispondere a questa domanda; il lavoro educativo è versatile e ci occupiamo di molte cose contemporaneamente.

Educazione deriva dal verbo latino: educĕre ovvero “tirar fuori” o “tirar fuori ciò che sta dentro”.

Il lavoro dell’educatore è incentrato sul futuro della persona, sul “tirar fuori” le sue potenzialità in modo da rafforzarle e/o svilupparle. La finalità dell’intervento consiste nel promuovere l’autonomia, l’autostima e l’autoefficacia dell’utente in modo da rendere non più necessario l’intervento dell’educatore.

Pianificando, osservando e confrontandosi con altre figure professionali (es: NPI, logopedisti, psicologi, insegnanti, ecc..) l’educatore elabora un progetto ad personam, legato alla sua unicità e alla sua globalità.

L’educatore – ne consegue – deve saper osservare, ascoltare e leggere la comunicazione non verbale e, nel contempo, instaurare una relazione educativa; è impossibile – infatti – lavorare con un utente se prima non si è creata una relazione basata sulla fiducia.

Come promuovi tra i bambini l’empatia e l’accettazione del diverso?

Cerco di far capire ai bambini che non esistono “bambini diversi”, ma esistono bambini con proprie particolarità. I bimbi sono degli ottimi osservatori, ma sono gli adulti che – la maggior parte delle volte – percepiscono la diversità come un pericolo.

Il bambino solitamente si limita a fare domande del tipo: “come mai il mio compagno ha la pelle nera?” oppure “come mai il mio compagno è in sedia a rotelle?” in questi casi è importante rispondere in maniera circostanziata, cercando di promuovere il rispetto per il prossimo.

Noi educatori a volte però possiamo fare poco poiché il pregiudizio arriva dai genitori che, invece, dovrebbero prestare attenzione a non fornire opinioni negative, trasmettendo paure immotivate. Il rischio è quello che il bambino le faccia sue.

Si dice che i bambini siano cattivi. Questo luogo comune, secondo te, a cosa si riferisce? Al fatto che non abbiano peli sulla lingua? O ad altro?

Se ci riferiamo a bambini e ragazzi e che bullizzano i coetanei, li maltrattano, è opportuno parlare di analfabetismo emotivo. In questi casi specifici serve un’educazione ai sentimenti.  Se invece parliamo di bimbi capricciosi, che ogni tanto rispondono male, che combinano delle marachelle, dobbiamo ricordarci che stiamo sempre parlando di bambini e che sono atteggiamenti normali.

Ti occupi anche di dsa (disturbi specifici dell’apprendimento): a tuo parere i genitori riconoscono subito un disturbo dell’apprendimento o tendono a sottovalutarlo?

Vorrei ricordare in primo luogo che i dsa sono i seguenti:

  • DISLESSIA: è un disturbo della lettura. Si manifesta con una difficoltà nella decodifica del testo.
  • DISORTOGRAFIA: è  un disturbo della scrittura. Si manifesta con difficoltà nella competenza ortografica e nella competenza fonografica.
  • DISGRAFIA: è un disturbo specifico della grafia Si manifesta con una difficoltà nell’abilità motoria della scrittura;
  • DISCALCULIA: è un disturbo specifico dell’abilità di numero e di calcolo. Si manifesta con una difficoltà nel comprendere e operare con i numeri.

Per rispondere alla tua domanda, direi che i genitori non sempre riconoscono subito un DSA. Ma non perché essi non seguano i loro figli, ma perché i disturbi specifici dell’apprendimento si possono presentare in maniera quasi impercettibile a un occhio non esperto.

Frequentemente ho parlato con genitori che hanno scambiato un disturbo specifico dell’apprendimento con “il poco impegno” o con “la poca voglia di studiare o applicarsi”.

Il mio consiglio nel caso di difficoltà scolastiche è quella di rivolgersi sempre ad un esperto (logopedista) che farà le valutazioni necessarie e, nel caso, somministrerà al bambino dei test per certificare il DSA.

Successivamente è opportuno affidarsi a personale qualificato e competente che possa aiutare il ragazzo; poiché non esiste una metodologia standardizzata che possa essere applicata a tutti i DSA; bisognerà sfruttare i punti di forza e potenziare quelli di debolezza, ricordando che l’obiettivo finale è quello di condurre piano piano il bambino/ragazzo verso l’ autonomia, aumentandone l’autostima e l’autoefficacia.

Chiudiamo con un suggerimento: in che modo noi genitori possiamo favorire l’autostima del bambino?

Partendo dal presupposto che per autostima si intende l’idea che ognuno ha di sé, ovvero un’autovalutazione della nostra persona e delle nostre potenzialità, bisogna tener conto che essa può mutare nel corso della vita e in base agli eventi.

La formazione dell’autostima nei bambini dipende dalle interazioni con il mondo esterno. Nell’infanzia sono molto importanti le risposte genitoriali che rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo forte e solido dell’autostima.

A tal proposito, ecco qualche piccolo ma importante consiglio per favorire l’autostima del bambino:

  • fate attenzione alle critiche: lodate i vostri figli per le cose che sanno fare bene piuttosto che criticarli per quello che non sanno fare;
  • sappiate ascoltare: quando vostro figlio vi parla, prestategli la vostra completa attenzione;
  • responsabilizzatelo: date al bambino piccoli compiti commisurati alla sua età;
  • aiutatelo a comprendere gli errori e a superare le sconfitte;
  • attenzione alle frasi che pronunciate: molte volte i genitori stressati per vari motivi utilizzano parole che feriscono notevolmente il bambino e che vanno a minare la sua autostima; Per esempio consiglio vivamente di evitare le seguenti espressioni: “se fai così mamma non ti vuole più bene” “sei proprio uno stupido” “Sparisci!”.
  • non fate confronti: ognuno di noi è diverso e sono proprio le diversità a renderci unici e speciali. Evitate, dunque, frasi di questo tipo: “Il tuo compagno è meglio di te, ha preso 10 in matematica”, “Tuo cugino è proprio un bravo bambino, non come te che fai sempre i capricci”, “tua sorella alla tua età era molto più brava di te”.

Per continuare ad avere preziosi consigli da Elena, seguitela sul suo profilo instagram e sulla sua pagina facebook!

 

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